LA POSIZIONE LINGUISTICA DEL BRIGASCO

di Franco Bronzat

A.I.E.O. (association International) d’Etude Ocitans)


 

Ho appreso recentemente dell’esistenza di una ormai consolidata polemica sviluppatasi sulla presenza galloromanza occitana in Liguria legata alla parlate brigasca1 - che interessa, in provincia di Imperia, le frazioni di Realdo e di Verdeggia2 nel comune di Triora - e della parlata di Olivetta San Michele3, ufficializzata in base alla legge 482/99 sulle Minoranze linguistiche della Repubblica Italiana. La polemica sviluppatasi soprattutto via Internet su di un blog4, ha ospitato gli interventi più disparati ma soprattutto quelli del Prof. Fiorenzo Toso, che si dice sinceramente preoccupato in quanto linguista e in quanto cittadino ligure per gli sviluppi futuri di questa iniziativa e per il destino del patrimonio linguistico regionale nel suo complesso. Il Prof. Toso si è espresso circa la non occitanità della parlata brigasca in una lunga quanto articolata risposta ai molti interventi ospitati dal blog in questione5. Toso ha ricordato che già nel 1996, quando venne pubblicato il volume di Massajoli & Moriani, mise in evidenza la gravità dell’affermazione fatta dagli autori circa l’appartenza della parlata brigasca all’area occitana con un articolo nel volume Frammenti d’Europa e in un secondo tempo nell’articolo Siamo tutti occitani (anche i fiamminghi). Toso imputa a Massajoli e a Moriani di aver ipotizzato un evoluzione del brigasco da una fase “più occitanizzante” ad una “più ligure”, cosa che avrebbe condizionato dall’esterno la coscienza linguistica degli stessi parlanti.

Cavillando sulla terminologia utilizzata dal Consiglio Provinciale di Imperia circa l’appartenenza delle popolazioni di Realdo e Verdeggia ad una minoranza linguistica storica, scrive che tale popolazione “ non appartiene affatto ad una minoranza linguistica ... perché parla un dialetto ligure alpino. Secondo il prof. Toso qualsiasi linguista con un minimo di competenza sulla realtà linguistica delle Alpi Marittime sarebbe in grado di confutare l’occitanità del brigasco in meno di mezz’ora, adducendo le più banali considerazioni basate sui materiali disponibili e sulla letteratura scientifica esistente. Per il prof. Toso la denominazione di occitano è di carattere fortemente ideologico e inoltre si pone il problema se la sua assunzione da parte del legislatore italiano sia nata da ignoranza o malafede6. L’Occitania non è altro che un insieme territoriale dove si parlano dialetti riconducibili alla lingua d’Oc, la lingua dei Trovatori, dove si sono sviluppate le principali eresie che hanno agitato il mondo medievale e dove la furia devastatrice delle crociate si è accanita sulla libertà di pensiero e di vita. Cattolici e catari, ebrei, valdesi e ugonotti, tutti sono stati perseguitati in questo territorio da forze esterne che ne hanno condizionato il destino ed è questo, oltre la lingua, il solo cemento di questo popolo. La questione occitana in Italia è, come spesso accade, il frutto di una lenta presa di coscienza da parte di una popolazione che ha conosciuto lutti ed esodi, guerre e persecuzioni. Solamente a partire dal 1713, i territori di lingua d’oc oggi italiani hanno avuto, con la monarchia sabauda, interventi di aggregazione ma anche di separazione da aree con le quali condividevano lingua, storia e costumi (valli delfinesi, parte dell’antica contea di Nizza). La nascita dello stato unitario nel 1861 vide, inoltre, il ricongiungimento di un’altra parte del territorio sabaudo di lingua d’oc - il Nizzardo - alla Provenza e quindi alla Francia. Vorrei ricordare inoltre che già nel 1861, un deputato del novello parlamento unitario, tale Giovenale Vegezzi Ruscalla, lucchese, per negare la francesità di alcune valli della provincia di Torino, ne dichiarò l’occitanità: “spento il reame di Provenza nel 1481, l’idioma dei trovatori, che per essere stato quello degli infelici Albigesi, già era stato proscritto dal Papa Onorio III nell’istituzione dell’università di Tolosa, perché era la lingua di cui si serviva quella setta, cadde nella umile condizione di dialetto, ed i dialetti di quelli vennero ascritti alle lingue ufficiali delle nuove signorie; così i dialetti Catalogna, Valenza ed isole Baleari divennero dialetti spagnuoli, benchè strettamente affini a quelli del Limosino, attalchè ne conservano ben anco oggidì il nome, ed il volgare del Rossiglione, ch’è pretto catalano, collocato fra i vernacoli francesi, unitamente a tutti gli altri dialetti occitanici del reame di Francia; e per ugual motivo i dialetti della lingua dei trovatori al di quà del Varo e delle Alpi devono essere ascritti alla lingua italiana; e così fece il dottissimo cav. Bindelli (1853)7, mio egregio amico, nella sua celebrata opera, collocando appunto i volgari non pure di Vinadio, Valdieri, Acceglio, S. Peyre, Oncino e Novalesa, ma eziandio quelli di Oulx, Cesana, Fenestrelle e valli di Luserna nella serie dei dialetti pedemontani” quindi con una logica nazionalista antelitteram, ne sentenziò l’assimilazione così scrivendo: da quanto venni sponendo rimane, parmi, provato in modo irrefragabile, che i volgari dei comuni della provincia di Torino, argomento di queste mie pagine erano dialetti occitanici, ed ora debbono essere dialetti italiani” 8 Nel 1944 lo stato maggiore francese, dopo il Memorandum d’Alger del 24 novembre 1943, aveva studiato la possibilità di annessione dell’area occitanofona e francofona (le rattachement) a seguito di un dettagliato studio pubblicato da Charles Maurice, colono in Marocco, sulle valli francofone del versante orientale delle Alpi, nella Revue de Géographie Marocaine pubblicato nei n° 2/3/4 del 1943 e n°1/2 del 1944. Questo autore, conosceva molto bene la situazione delle valli e in particolare di quelle degli antichi escartons di Oulx e Pragelato avendo sposato la Sig.ra Odiard des Ambrois di Oulx, appartenente ad una antica famiglia nobile, alla quale era infeudata l’alta valle della Clarée (Nevache) e Bardonecchia. C. Maurice in seguito diede alle stampe diverse opere dedicate alla storia e all’etnografia della valle di Oulx. Alla fine della guerra il “ rattachement”si limitò al pianoro del Moncenisio e la valle Stretta in prov. di Torino. In provincia di Cuneo la cosa fu decisamente più traumatica con l’annessione di Tenda e di parte del comune di Briga in val Roya e di Mollieres nella valle della Tinée. Il pericolo dell’annessionismo fruttò alla valle d’Aosta l’autonomia. C. Grassi (1958) pubblicò un saggio che fu il primo passo per la conoscenza presso il grande pubblico dell’appartenenza delle valli alpine del Piemonte occidentale al mondo gallo-romanzo e questo in base ai materiali raccolti dai principali Atlanti Linguistici AIS, ALI, ALI ed a inchieste personali essendo “le propaggini provenzali e franco-provenzali delle valli cisalpine piemontesi, malgrado siano state oggetto di alcuni fra i primi saggi di dialettologia italiana in ordine di tempo, risultano ancora, soprattutto le prime, insufficientemente conosciute”. Nel 1961, grazie all’amicizia che legava gli scrittori e attivisti piemontesi della Compania dij Brandé, Pinin Pacòt, Tavo Burat, Aldo Daverio al mondo culturale provenzale, venne fondata l’Associazione dell’Escolo dóu Po sul modello delle scuole affiliate al Felibrige di Provenza. Il Prof. Corrado Grassi, titolare della cattedra di Dialettologia presso l’Università di Torino e Presidente dell’Escolo dóu Po, iniziò, a partire dal 1969/70, attraverso le tesi di laurea e ricerche sui confini linguistici(Buffa e alii, 1971) a delineare l’area di estensione delle parlate gallo-romanze, sommersa da una recente piemontesizzazione di contatto legata soprattutto a condizionamenti socio-economici che hanno pure interessato alcune località all’interno delle valli tradizionalmente gallo-romanze; tale intuizione era stata esemplificata da C. Grassi già nella sua opera del 1958 (p. 41) allorquando citò il caso di Borgo San Dalmazzo: “La posizione di B.S.D. presenta dunque nella sua parlata, oggi piemontese, tracce di concordanza con gli altri centri di parlata alpina della V(al) V(ermenagna). Le quali, assai esigue, appartengono quasi tutte ad un ambito culturale estremamente modesto... e, unitamente ad altri fatti, sono sufficienti a documentarci la relativamente recente conquista del centro da parte del piemontese.”9 Fin dai primi anni della Renaissença occitana era emersa la necessità di individuare i confini etnico-linguistici della zona gallo romanza situata all’interno dello Stato italiano. A partire dal 1968 alcuni gruppi di attivisti locali, attraverso un lavoro di ricerca stimolato da F. Fontan iniziarono, grazie alle tesi di laurea e ad osservazioni che potremmo oggi definire empiriche, a definire l’area occitana d’Italia. L’occitanità della parlata dell’alta val Tanaro venne riconosciuta grazie all’analisi del punto 111 dell’ALI (oggi La Brigue) e alla tesi di laurea di Giorgio Canova, svolta nel Anno Accademico 1971/72, relatore Prof. Corrado Grassi. Le inchieste di Canova furono svolte in parecchi paesi della val Tanaro tra i quali Garessio, Ormea e Briga Alta; in particolare ad Ormea capoluogo e nella frazione di Viozene; a Briga Alta l’inchiesta è stata svolta a Upega. Questa tesi permise inoltre di individuare un confine linguistico tra parlate piemontesi e liguri. Le differenze tra la parlata di Upega e Viozene (villaggi appartenenti alla comunità brigasca) e Ormea sono tante e importanti anche se tra i due tipi linguistici alcuni fenomeni fonetici e morfologici sono condivisi. Del resto le stesse parlate occitano alpine (non tutte) presentano delle soluzioni padane e non per questo si tratta di parlate gallo-italiche. Il Brigasco per motivi di contatto ha adottato delle soluzioni liguri. Comunque sia, queste forme sono variamente presenti in area transalpina e sono il frutto di evoluzioni autonome e per nulla influenzate dalle parlate liguri o piemontesi. Mi riferisco all’evoluzione dei nessi consonantici BL/ PL/ FL/ CL/GL. Nelle valli occitane del Piemonte solamente l’alta valle della Dora, le valli Chisone e Germanasca e l’alta valle di Stura li conservano: blank, plump, flur, claw, gleysa come nella stragrande maggioranza delle parlate occitane di Francia. In tutte le altre valli abbiamo bjank, pjump, fjur, kjaw, gjejza, forme presenti nella parlata di Menton e di molti villaggi vicini. L’ulteriore passaggio dei gruppi CL/GL a c / g come in piemontese, in ligure e in genere nelle parlate padane, è testimoniato dalle varietà occitane dell’alto Trieves (Tausch 1954) , a Limone Piemonte, ad Oncino in val Po. Il brigasco presenta in questo caso delle forme tipicamente liguri così come è qui esemplificato: L’esito di CL > c è presente in tutta l’area padana e ligure: lat. clave > brig. caw a differenza del lig. che ha cave. BL > g germ. blanco > brig. gank; lig. ganku PL > c lat. plumbu > brig. cumb; lig. cumbu FL >š lat. flor >brig. šu; lig.šua Alcuni termini dimostrano che il fenomeno è recente: ne fa fede la voce ajas/ alas < GLACIU “ ghiaccio” con i derivati alasera “strato di ghiaccio”, ajasun “blocco di ghiaccio”, che presentano un’evoluzione presente in molte aree transalpine occitane (Bouvier 1976, pg 98; la “glace) o ancora la voce ajandre/ alandri< *AGLANDULA “ ghianda”. Nel primo caso la lingua ha reagito mantenendo la vecchia forma per l’evidente omofonia che avrebbe avuto con gas < JACERE “ strame, giaciglio, riparo dei pastori”. Se tenessimo conto dell’evoluzione dei nessi consonantici PL/ BL/ in Italia, dovremmo negare l’italianità di buona parte dei dialetti del sud Italia : it. PIANGE = campano, calabrese, salentino, siciliano kjanë; FIORE = core/ suri; BIANCO = jankë Il blog ha ospitato altri interventi come quello del prof. Werner Forner, che a molti è sembrato risolutivo tanto da far scrivere che questo avrebbe finalmente messo la parola fine alla discussione. Il prof. Werner Forner è autore di alcuni studi linguistici (1987, pp. 653-678) sulla valle Roya e già in passato (n° 5 della rivista r nì d’aigüra, gennaio-giugno 1986, pp 4-6) si era espresso per una autonomia linguistica della parlata brigasca che ricadrebbe nell’ambito di una lingua detta Roiasco. Il Prof. Toso ha pubblicato on-line uno studio Considerazioni sulla classificazione del dialetto brigasco (e olivettese)10 nel quale non ha fatto altro che copiare il testo di Forner del 1986; addirittura ne ha copiato gli esempi. Sia Forner che Toso ignorano completamente gli studi di valenti linguisti in questo campo come Pierre Bec, R.Lafont (1960), P. Gardette (1939, 1941, 1943, 1955, 1957, 1962, 1964), J.C. Bouvier (1966, 1976, 1978, 1979) , F. Martel (1983) , P. Nauton (1966, 1974) per citarne alcuni, tanto da non sapere che il dittongo –uè-<O dell’occitano può avere diverse evoluzioni moderne con valori fonetici estremamente vari che vanno dalla semplificazione in è/ ü o alla monottongazione in o che, per esempio, è tipica delle parlate occitane della Drôme o delle Valli occitane della prov. Torino. Questi due autori danno inoltre per certo il provenzale dittonghi in wo< O davanti ai nessi consonantici NT (e RT) – RC: PONTE > pwont; PORCU > pworc (esempi tratti dal lavoro di Forner/Toso). Il fenomeno è diffuso soprattutto in Provenza mentre nel resto dell’area occitana le realizzazioni più comuni sono pont/ punt e per PORCU abbiamo in genere pyrk/ pwèrk/ püèrk/ pjork. La dittongazione citata è presente in alta val Varaita, in qualche località della valle Stura, Valdieri in val Gesso, nelle Valli del Kyè mwart < MORTU, wart < ORTU). A proposito delle valli del Kyè, Toso in un recente studio (2006, pp 7-22) ha scritto: non so fino a che punto Corrado Grassi sosterrebbe ancora, oggi come oggi, il carattere occitano della parlata di Fontane di Frabosa Soprana, ma le stesse possibilità d’analisi offerte dalla pubblicazione di materiali relativi a quel dialetto sembra rilevare, su un impianto comune al tipo basso piemontese, componenti di tutt’altro genere: liguri con ogni evenienza11, ma anche alto-italiane arcaiche per quanto riguarda un fenomeno che prudentemente si potrebbe definire comune ad alcune varietà provenzali alpine e a un’antica area genericamente settentrionale(con esclusione della Liguria), quello della palatizzazione di CA”; pure il lessico non presenterebbe alcuna forma originale essendo comune alle vicine varietà piemontesi e liguri. Insomma di occitano non c’è proprio nulla ! 12 Altri fenomeni presenti nel brigasco ma esclusi dalla tipologia provenzale/ occitanica sono legati alla formazione del plurale che in genere nelle parlate della val Roya e nel brigasco sono di tipo metafonetico. Questo fenomeno inizia in verità in località assai distanti dalla val Roya come nel Biellese e segue grosso modo la fascia pedemontana piemontese essendo poi presente nelle parlate del canavese e a partire dalla bassa val Pellice sino all’area cuneesemonregalese per poi tracimare e scendere in val Roya; in questi settori sono diffusi dei plurali del tipo tok/ tojk o tok, gurna/ gurnaj13. Una parlata che più provenzale di così non può essere, quella di Sancto Lucio della Coumboscuro, (Monterosso Grana), possiede il plurale metafonetico, anche se è adeguato alla fonetica locale che mantiene il dittongo wè per cui a o> wè : picot (piccolo, bambino) plur. picwèt (bambini) . Per il Prof. Dalbera questo tipo di plurale, alla royasca, dimostrerebbe la non occitanità , pardon provenzalità di questa parlata. Il linguaggio usato da un intervento di un partecipante al blog che si firma giurista, dal quale ho tratto la frase legata alla fine alla discussione in merito alle caratteristiche linguistiche del brigasco e dell’olivettese, è oltremodo articolato. Parrebbe scritto da persona che ricerca un qualsiasi appiglio per scagliarsi contro la minoranza linguistica occitana. Addirittura chiede il ritiro della delibera provinciale e che eventuali iniziative volte ad accedere ai finanziamenti previsti dalla legge 482/99,…ove riferite al brigasco, possono essere impugnate da chicchessia. In base alla ricca massa di documenti lessicali, grammaticali e etno-linguistici raccolti in molti anni di ricerca confluiti e raccolti nelle riviste “ A Vastera”, “R Ní d’Aigüra”, nei vocabolari e grammatiche prodotte, dai dati d’Atlante, è possibile tracciare un profilo linguistico più che esaustivo delle principali caratteristiche di questa parlata. Per quanto riguarda il sistema vocalico possiamo constatare che il brigasco non presenta forme di rilievo rispetto alle parlate vicine siano esse occitane o gallo-italiche. Il brigasco è inserito nel gruppo delle parlate che continuano A tonico < -ARE nelle forme verbali rispetto alle forme piemontesi in È/É14: parlare > parla in concordanza sia con l’occitano e con il ligure. Il brigasco inoltre realizza, come nella maggior parte dell’area occitana, una vocale leggermente allungata (allungamento di compenso), dovuta ad una recente caduta della consonate R finale, reso graficamente nei testi letterari con il raddoppio della vocale: mandàa “mandare”, fàa “ fare “. La stessa a resa anche in questo caso con àa, è presente nei participi passati femminili: manàa “manata “, ramàa “ acquazzone”. Anche gli esiti della desinenza - ARIU > e presentano questo allungameno, realizzato in alcuni testi letterari con il raddoppiamento della vocale: ée; panatée “ panettiere”; come nei verbi in – ARE, il fenomeno interessa i verbi in –ERE: avée “ avere “, puée “ potere “. Questo insieme di esiti riallacciano sicuramente il brigasco all’ambiente linguistico occitano e in particolare a quello alpino. Come l’occitano il brigasco non dittonga E/I tonica che passa ad ey/ ay in piemontese e in ligure: ESTELA > stela >štéra; piem. steyla/ lang. monf. štayra TELA > tela > téra; piem. teyla/ lang. monf. tayra CANDELA > candela > kandéra / piem. kandeyla/ lang. monf. kandayra Il fenomeno interessa pure la parlata di Ormea e di alcune parlate intemelie facenti comunque parte di quell’area definita Anfizona Ligure Provenzale da Giulia Petracco Sicardi. Questa autrice non prende comunque in esame questo elemento distintivo e caratteristico delle parlate occitane.

Un altro fenomeno che interessa la parlata brigasca avvicinandola all’occitano e al piemontese riguarda il trattamento di o ed u atone [latine] in sillaba finale. Mentre sono conservate normalmente nel ligure, cadono sia in Brigasco che nella parlata di Olivetta: lig. galu “ gallo”, brig. gal; brasu “ braccio”, brig. bras; frejdu “freddo” brig. frejd Al riguardo Nino Lamboglia in uno studio dedicato alla toponomastica intemelia, al riguardo del toponimo Breglio rileva come la forma locale brej/ bre¾ segua la caduta, generale nel Nizzardo, di u finale, che ha appunto a Breglio il suo limite orientale. Nel ligure inoltre si conserva, dopo la caduta di d intervocalico, la u [w] del maschile nei participi passati: mangaw “ mangiato “ brig. mangá. Briga (e Olivetta) non conoscono questo trattamento fonetico tipicamente ligure. Toso al riguardo scrive, sempre nel lavoro “ Considerazioni…”: E dimostrabile che la caduta delle vocali finali in brigasco e recente e di molto successiva a quella presente in occitano ma non lo dimostra, ne fornisce la tanto minacciata bibliografia relativa. Il brigasco, come appena notato, partecipa della caduta sistematica della consonante d / d < T intervocaliche come in francese, franco-provenzale, occitano alpino, piemontese e ligure: CAPTIATOR “ cacciatore “ > kasaú mantenendo l’accento in posizione finale. Questo fenomeno interessa pure i sostantivi: FETA > fea “ pecora “, CATENA > kadena > kaena > kaína. Un altro esito decisamente di tipo occitanico e quello dell’evoluzione del nesso lat. –voc + TER >voc +DRE > ajre/ ejre: si pensi alle forme del tipo PETRA “pietra” > pejra; PATER “padre” > paj, dittongo che, come spesso accade nelle parlate alpine occitane si chiude in i/ j: pirin “padrino; mirina “madrina”. Questo tratto e inoltre presente nelle parlate dell’Anfizona Ligure Provenzale. La conservazione di b< P latina intervocalica in molti termini: abe¾a “ape” (ligure ava) , abrí “ aprile”, sebula “ cipolla , übag “ opaco/ non al sole “ riconduce senza ombra di dubbio queste parlate all’area gallo romanza occitana. L’esito del gruppo consonantico latino NG davanti a vocale palatale >ñ ci riconduce nuovamente all’area galloromanza occitana mentre l’esito nz e diffuso in tutto il territorio galloitalico. ESTRENHER (stringere) > štréñu; piem. strenze TENHER > (tingere) téñu; piem. tenze L’esito del gruppo latino e germanico GWA colloca il brigasco in un ambito occitanico arcaico rispetto agli esiti moderni dove GWA > ga (franco/ gotico) e agli esiti piemontesi regolari conservati soprattutto nelle aree rurali in V e a quelli piu arcaici di tipo “longobardo” in W del territorio monferrino, accomunandolo agli esiti italici presenti nelle varieta piemontesi cittadine (Torino) e liguri orientali. L’esito e comunque presente in tutta l’area occitanaguascone. germ. waidanjan “ guadagnare “ > brig. gwadaòar > gwaaòar > gwaña reso nei testi letterari con guagnaa; oc. ganhar; piem. vañé germ. waigaro “ guari / abbastanza” >brig. guayr ; oc. gayre ; piem. vayre; monfer. ware lat. aqua “ acqua” brig. aygwa; oc. ayga; piem. ayva> eva; monfer. ewa; gen. egwa Toso cita sovente come trattamento particolare all’area ligure (e del brigasco) e a gran parte del monferrino ma non del piemontese comune, il passaggio di –L- intervocalica a –r -;15…che e diffuso in tutte le parlate occitane alpine e sino al massiccio Centrale francese. Certamente un analisi puntuale dei vari fenomeni fonetici di questa parlata ci porterebbe ad un elenco decisamente piu corposo. L’analisi morfologica della parlata – formazione del plurale (a cui ho accennato brevemente), delle forme verbali - che avvicinano molto il brigasco alle forme classicamente occitane-, all’utilizzo costante dei pronomi, all’articolo che presenta elementi di arcaicita riscontrati nella parlata trobadorica, ci condurrebbero ad una disanima che travalica l’intento del presente articolo. Brevemente ricordo che il Prof. Toso, in maniera ascientifica scrive: “ Le paricelle del tipo gli, lo, mi seguono in brigasco l’infinito (tipo: va’ a riposarti) secondo il tipo ligure, mentre in occitano lo precedono (va’ a ti riposare)” . Chi si occupa di occitano sa che la formula vai te repausar e la piu diffusa ma non in area alpina dove prevale quella di tipo vai repausar-te che e condivisa , ad esempio, con la parlata guascone della val d’Aran e con il catalano. Influenza ligure? piemontese ? italica ? catalana? Direi variabilita romanza. Sempre il Prof. Toso afferma che: “ Il pronome-soggetto in ligure e in brigasco e obbligatorio a differenza di quanto avviene in occitano (e in italiano) , dove manca normalmente (tipo u ven, r’ ven contro viene). L’occitano alpino usa abitualmente i pronomi con una regolarità accentuata: al / u ven se il sog. è maschile, i ven se femminile; i pronomi non sono utilizzati in tutta l’area occitana ma lo sono nelle parlate del Limosino e dell’Alvernia (Gardette, Morph. 1941) e in quasi tutte le parlate francoprovenzali (J.B. Martin 1974) e in buona parte delle parlate galloitaliche (G. Rohlfs, 1968, pp 140-147). L’occitano alpino ha anche il pronome a per la prima persona singolare (Pragelato, Alta valle Dora, Alta val Varaita) : : a vaw(k) “ vado” in stretta analogia con la forma alto monferrina: a våg “ vado” . Voglio comunque ancora dedicare una parte di questo lavoro al lessico della parlata brigasca che possiede elementi di matrice occitanica significativi e spesso persi in parlate riconosciute occitane dell’area alpina. Secondo il Prof. Toso il lessico non è probante per dimostare l’appartenenza o meno di una parlata ad una famiglia linguistica. L’esempio proposto dal Toso in Considerazioni che scrive: “ La presenza anche significativa di elementi lessicali provenienti da una varietà diversa da quella in cui rientra il dialetto in esame (il brigasco) per aspetti rilevanti della fonetica, della morfologia e della sintassi e ritenuta di per sé poco significativa. Ciò spiega ad esempio come non ci siano dubbi sull’appartenenza del romeno alle lingue neolatine, per quanto esso abbia assunto numerosi elementi lessicali slavi… La presenza di elementi lessicali “occitani” in brigasco non è quindi da considerare probante, e andrebbe inoltre verificata sempre la presenza di tali voci anche in altri dialetti liguri contermini, onde escludere che tali prestiti siano esclusivi del brigasco”. L’esempio proposto: lingua neolatina , prestiti slavi nel romeno non dimostra assolutamente nulla. Tutte le lingue romanze, salvo il romeno, isolato dalle invasioni slave, hanno avuto un apporto germanico notevole. In tutte abbiamo invece guerra/ guerre < WERRA e non il latino BELLUM presente esclusivamente in termini dotti: belligerante, bellicoso. E i casi sono centinaia. Di per sé sarebbe sufficiente ricordare alcuni aggettivi come grinùu (voc. Massajoli/ Moriani) “affetto, propensione per l’amore, femminilità”: arveiru cun grinùu oc. arveire abó grinor o marì “ cattivo” presente pure in altri punti liguri (mariu) e sostantivi come grula “ scarpone “, labrena “ salamandra “16, šlaws “ lampo” (oc. alpino eslaus/ ejlüsé/ zlüsi), mokejro “ fazzoletto” e cawsée “scarpe”(forme perfettamente identiche a quelle presenti tra la val Pellice e la bassa val Chisone), bësun “ gemello”, karanun “ spasimante e simili Le voci aré “ariete”, bèàa “canaletto”, brüšch “arnia”, kugurda “zucca”, sementeri “cimitero” , aren “fiato”, deneàa “natale”17 , agradàa “piacere” , aguyla “ago”, fudìi “grembiule” e kusèe “scarpa” ci riallacciano senza alcun dubbio, senza dimenticare le voci ren “nulla, punto”, kükren qualcosa, logn “lontano”, arè “completamente, senza residuo”, lo kë m’agrada “ciò che mi piace al lessico più pregnante dell’occitano. Parlare di lingua ponte per il brigasco mi pare difficile; il brigasco è, a parer mio, una forma sicuramente occitana di tipo provenzale alpino (non occitano alpino che è nord-occitano), che ha subito negli anni, l’influsso della vicina parlata ligure, che ne ha modificato,in alcuni casi, limitati in verità, gli esiti originali. Non dobbiamo inoltre ricordare che dal punto di vista sociologico, i brigaschi, hanno sempre indicato i vicini liguri con il termine di figon, così come i provenzali indicano ancora oggi gli abitanti di Vallauris, enclave ligure in terra occitana. Proprio a questo riguardo il Prof. Toso pare dare poca importanza a questo fenomeno definito criterio di autovalutazione: “in situazioni linguistiche di confine, il criterio di autovalutazione dei parlanti assume rilievo, ai fini classificatori, non meno dei dati oggettivi della fonetica….; l’affermazione non sarebbe priva di una sua legittimità, se non fosse che la si collega alle modalità di applicazione di eventuali norme in materia di tutela delle minoranze storiche, per giustificare …le decisioni di quelle amministrazioni comunali che, pur di fruire dei benefici previsti, non esitano a dichiarare l’appartenza dei loro concittadini a gruppi linguistici alloglossi (occitano, francoprovenzali18. Potrei aggiungere che i comuni che hanno approfittato, almeno in area occitana, di questi fondi sono veramente pochi. Nelle valli lavorano invece gli “Sportelli Linguistici” delle Comunità Montane che organizzano delle attività culturali volte a vivificare la parlata e la cultura occitana presente nell’area di competenza. Inoltre molti fondi della già citata legge 482/99 sono stati erogati all’Università di Torino per l’organizzazione di ricerche e di corsi di formazione in etnolinguistica per laureati. Faccio comunque mia l’osservazione del Prof. Fiorenzo Toso che, sempre in Siamo tutti..ha scritto:” Occorrerebbe fare una serie di raffronti, onesti e approfonditi, su tutta un’area molto ampia prima di poter determinare con sicurezza le origini e la diffusione di un determinato episodio di cultura popolare” e aggiungo non solo di cultura popolare ma sarà necessario un grosso lavoro di lessicografia anche con l’area occitana e galloitalica e non solo con quella ligure, prima di poter determinare l’esatta estensione di un lessema e dei suoi derivati. Sarebbe inoltre auspicabile l’organizzazione di una giornata di studi per approfondire queste tematiche tra specialisti delle varie materie.

 

1 In Piemonte, in provincia di Cuneo la borgata Viozene nel comunedi Ormea e l’intero comune di Briga Alta; in Francia il comune di La Brigue

2 Gli abitanti di Realdo e Verdeggia, cioè Brigaschi della Liguria (Massajoli, 1984, pg 7)

3 Anche una parte del comune di Olivetta San Michele, anticamente La Pénna, confinante con Sospel nella valle della Bevera, appartiene in parte alla Francia, frazione di Libri.

4 alberto cane blog: Occitani in Liguria?

5 Il Prof. Toso in quasi tutti gli articoli dedicati alla minoranza occitana in Italia ha obiettato circa l’estensione dell’area, a suo parere più limitata ma è soprattutto in: A proposito della “ spazio occitano”…(2006) che vengono criticate le adesioni dei comuni di fondovalle delle valli occitane del Piemonte alla legge 482/99. A parte il fatto che la legge parla di “minoranze storiche” e non di comuni dove la maggioranza deve parlare la lingua di minoranza. Nei casi esemplificati dal Toso che scrive “ la piemontesità del dialetto di Caraglio o di Borgo San Dalmazzo è un dato oggettivo, la loro occitanità è un fattore ideologico e strumentale (pg 13)”. L’occitanità storica è dimostrabile e non solo poiché, come in moltissime situazioni rilevabili nelle valli, il capoluogo comunale oggi parla una varietà piemontese più o meno venata di fenomeni e vocabolario occitano mentre l’occitano è ancora conservato nelle borgate. Fra qualche anno si potrà anche confutare l’occitanità di molti comuni se la lingua non verrà più parlata. Se vogliamo fare degli esempi la gaelicità di Dublino è sicuramente una chimera ma ciò non toglie che l’Irlanda è un paese gaelico, celtico, anche se la lingua è parlata da una esigua minoranza.

6 Le iniziative richiedenti l’attuazione dell’Art. 6 della Costituzione iniziarono a partire dalla fine degli anni ’60. In particolare un Pro-Memoria del 7 ottobre 1970, inviato alla Regione Piemonte, firmato per la Commissione nominata dalla Presidenza della Assemblea della “Escolo dou Po” (Presidente Prof. Giuliano Gasca Queirazza S.J.) da Sergio Arneodo, riporta la seguente dicitura: “almeno 100.000 OCCITANI (provenzali).

7 Bernardino Bindelli (1853) citato dal Vegezzi Ruscalla, raccolse, oltre alle versioni nelle varie parlate locali dellaparabola del Figliol Prodigo, una curiosissima poesia nella parlata di Elva tradotta da un componimento in piemontese composto In occasione d’un orribile incendio suscitàtosi per colpa d’una vecchia squarquoja denominata Margritassa.

8 G. Vegezzi-Ruscalla, Diritto e Necessità (in bib.)

9 Ho condotto personalmente delle inchieste linguistiche in alcune località del comune di Borgo San Dalmazzo poste a ridosso del concentrico urbano: a Tet Touroutoun, a Tetto Perasso, a S.Antonio Aradolo e ad Aradolo Madonna Bruna; nella prima località la parlata conserva notevoli tracce e forme occitane mentre nelle altre tre possiamo tranquillamente parlare di occitano nella variante della val Gesso.

10 Non ho potuto reperire il sito nel quale l’articolo è stato pubblicato.

11 Secondo Toso queste parlate presentano un tratto fonetico tipicamente ligure e cioè la palatalizzazione di –r- intervocalica e il passaggio a [ y] in posizione preconsonantica secondo il modello tipico della zona bormidese-sassellese. A mio modesto avviso il fenomeno è decisamente più diffuso , essendo segnalato in molte località di Provenza e del massiccio Centrale francese; inoltre si cfr. Forner (1978 pg 665 nota 5). Nella parlata di Bourcet (Roure, val Chisone r preconsonatico passa a j : erba > erbo > ejbo. Sempre nel comune di Roure nelle borgate di Castel del Bosco e Charjaor l intervocalico passa a r: gallina > ðalino > ðarino o dilegua (Roure- Villaretto) ðaino

12 La parlata del KYé, sebbene presenti delle contaminazioni di tipo langarolo-monferrino (dittongazione di E > ej > aj), dovute ad una lenta penetrazione di questa parlata utilizzata a Mondovì, possiede ancora delle notevoli forme arcaiche, importantissime spie di una antica occitanità della parlata. Per quanto riguarda la questione della palatalizzazione di C+ A, ho ampiamente trattato l’argomento nella mia Tesi di laurea. In questo caso, alcuni autori, in base a pochissime e dubbiose tracce fonetiche, riescono a ricostruire degli scenari linguistici, comodi per coloro che negano l’indipendenza di alcune lingue come il Friulano,il Ladino ecc. rispetto al sistema galloitalico

13 Forma di plurale presente tra l’altro nell’antica parlata franco-provenzale di Grenoble (Devaux 1912)

14 Il confine tra l’esito di -ARE > A[ á/ó/óa] e É/ È, è in Val Tanaro tra Bagnasco e Pievetta

15 F. Toso, Stratigrafie linguistiche in un’area di confine, in Studi e Ricerche sui dialetti dell’Alta Val Bormida, C.M. “Alta val Bormida” Millesimo, 2001, pp 13-25 e in Liguria Linguistica, Dialettologia, storia della lingua e letteratura nel ponente. Saggi 1987-2005, pp 216 -230 Edizioni Philobiblon, Ventimiglia, 2006; si confronti inoltre la nota 10.

16 Villaretto Roure, Val Chisone alabreno

17 La voce deneàa “ natale” è stata utilizzata da Toso per mettere in evidenza che in alcuni casi i ricercatori hanno peccato di ingenuità ritenendo una parola di esclusiva pertinenza brigasca e quindi occitana. L’errore in questo caso è da imputare a C.Grassi che nel 1958 (op. cit. pg 28) ebbe a scrivere: “ il caso della voce “Natale”: la c. AIS 781 mostra come nell’alta Val Varaita (P.160 Maddalena di Chianale) si conservi l’antica forma provenzale [deyniál]… La voce è invece diffusa tra la Val Germanasca e la Val Grana per quanto riguarda l’area occitana; è presente in Val Sesia, in Liguria. Al riguardo scrissi un articolo nel giornale Ousitanio Vivo n° 186, 1995, pg 4, Question de lenga. Chalendas Deynal

18 F. Toso, Siamo tutti occitani (anche i Fiamminghi), in Liguria Linguistica, Ed. Philobiblon, 2006, pp 69-78

 

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