LA PATATA

(RADICE DEL DIAVOLO)

Luciano Frassoni

 

Da una relazione risalente al 1811, redatta da Gilbert Chabrol De Volcic (Prefetto napoleonico del Dipartimento di Montenotte di cui facevano parte anche i territori della Terra Brigasca), relativa alla stima e al censimento del “Bosco delle Navette” nei pressi di Upega, in Alta Val Tanaro, si legge che il De Volcic, accompagnato da ispettori forestali, dopo una faticosa risalita lungo il torrente Negrone, tra rocce e passaggi impervi, giunge nei pressi del piccolo paese di Upega (l’Upiga). Descrive in modo abbastanza dettagliato le caratteristiche del paesaggio, con i suoi boschi di larici e abeti, la semplicità degli abitanti che stima in circa 100, la produzione agricola menzionando “rape e avena che resa in farina ne fanno del pane che immolano nel latte delle loro vacche”. Non menziona la coltura della patata.

Fino ad allora credevo che la patata fosse stata coltivata in Europa almeno da diverse centinaia di anni, ma quella lettura mi creò tanti dubbi e mi fece pensare che forse nel primo ‘800 la coltivazione del tubero non fosse ancora conosciuta nelle valli alpine. Incominciai a fare delle ricerche sul campo. Interrogai gli anziani dei paesi dell’Alta Val Tanaro, ma le risposte mi lasciarono perplesso e dubbioso. Qualcuno era convinto che la semina della patata fosse esistita da sempre, altri pensavano risalisse ai primi del 1500, ma da una conversazione con Emilio Alberti (Cagnöi) di Upega (1901-1998), persona di grande intelligenza e memoria, alle mie domande, rispose dopo una lunga pausa: << Io l’ho sempre seminate e viste seminare, da mio padre e da mio nonno, ma ricordo vagamente che, quando ero ragazzo, mentre aiutavo mio nonno a raccogliere le patate, e quell’anno il raccolto era abbondante, egli mi riferì che quando le patate non esistevano, quassù, era fame nera e l’unica risorsa era emigrare, nei mesi invernali, in Provenza o in Riviera>>.

Queste vaghe notizie mi incuriosirono e documentatomi mi sono reso conto che la patata, in queste montagne, come in tutto l’arco alpino, è stata introdotta verso la fine del primo ventennio del 1800.

Il tubero fu portato dall’America nel Vecchio Continente nella seconda metà del 1500, quasi in silenzio, non rendendosi conto del valore nutritivo. Essendo un cibo che nasce sotto terra e privo della luce del sole, fu considerato un “prodotto del diavolo”.

 I centri d'origine sono il Perù e il Messico. Gli Indios le coltivavano in territori di montagna e le cuocevano nell’acqua o le facevano disseccate al sole e trasformate in farina.

In Europa questo prodotto, di brutte forme, che cresce sotto terra (Chiamato anche radice del diavolo), non ebbe fortuna e si credeva velenoso. In realtà tale credenza era in parte vera perché se si conserva in luogo luminoso, il prodotto accumula, nelle parti verdi, l’alcaloide velenoso “solanina” che se ingerito produce forti intossicazioni.

Solo verso la metà del 1700, per merito di un farmacista francese Antoine Augustin Parmentier (1737 1813), la patata assunse un'importanza sulla “tavola dei nobili” e in seguito tra il popolo.

Il farmacista aveva conosciuto la commestibilità della patata durante una strana situazione.

Durante il servizio militare nell’esercito del Duca di Richelier che occupò L’hannover (1757), nella guerra dei Sette Anni, fu fatto prigioniero dagli “ussari prussiani”. In quei luoghi le patate erano date ai maiali e forse per disprezzo venivano date come cibo ai prigionieri.

 Subito il Parmentier pensò che volessero avvelenarlo, ma poi preso dai morsi della fame incominciò, anche se con diffidenza e paura a mangiarle. Nei giorni successivi non riscontrò alcun malessere.

Ebbe un’intuizione e chiese ai carcerieri dove conservavano le patate, e così seppe che per ripararle dal gelo invernale le immagazzinavano in locali sotterranei privi di luce.

Quando fu liberato ritornò in Francia e invece di odiare << les pommes de terre>> divenne un convinto propagandista della diffusione della patata. Essendo un chimico capì che il prodotto conservato in locali esposti alla luce, alcune sostanze del tubero diventavano verdi e si trasformavano in “solanina”, sostanza tossica.

Nel 1769 il Parmentier fu messo sotto inchiesta per aver somministrato ai soldati reduci di guerra delle patate.

In seguito scienziati dell’epoca tra cui il famoso Lavoiser apprezzarono la sua fatica.

Si dedicò allo studio dei cibi ricchi di carboidrati (mais, riso, pane e castagne) con lo scopo di rimpiazzare il grano nei momenti di carestia.

Creò delle piantagioni sperimentali e convinse Luigi XVI a divulgarne la coltura.

Durante una “festa di corte”, in occasione di un gran ballo, il 25 agosto 1785 si presentò con un fiore di patata all’occhiello e furono servite agli ospiti delle patate lesse condite con gustosi sughetti. Fu un grande successo e questa data si può considerare “il trionfo della patata” divenendo un cibo da “bocche nobili.”

Il Parmentier, intuì che il tubero poteva sostituire in molti casi il grano, e in complicità con il Re ideò uno stratagemma; seminò patate in un grande appezzamento di terra nella regione delle Tuileries che fece sorvegliare da gendarmi armati che avevano l’ordine di lasciarlo incustodito durante la notte. Il tubero, ormai considerato un boccone da re, in mancanza di sorveglianza durante la notte veniva rubato dalla gente del posto.

Mentre nel nord–est dell’Europa già alla fine del ‘ Settecento si incominciava a coltivare la patata e apprezzarne le qualità in Piemonte giunse nei primi del 1800 portate dall’esercito napoleonico.

Un avvocato di Cuneo Giovanni Vincenzo Virginio (1752-1830), agronomo per passione, fondò a Torino “l’Associazione Agraria Torinese”, riconosciuta anche da Vittorio Amedeo III con l’intento di promuovere la coltivazione del tubero anche in Piemonte.

 

Van Gogh: I mangiatori di patate

Trovò molta diffidenza tra la popolazione. Dopo tanta fatica i “pomi di terra”, nell’autunno del 1803, furono immessi sui mercati di Torino e Cuneo e nel settembre del 1805 la nuova “Società di Agricoltura, Scienze, Arti e Commercio del Dipartimento dello Stura” divulgò ufficialmente i valori nutritivi e le modalità di semina e conservazione del prodotto. Da quel momento la patata entrava trionfalmente nelle case della gente.

 Giovanni Vincenzo Virginio ad ogni fiera o festa patronale, con il suo carretto pieno di patate da seme, propagandava e regalava il prodotto agli increduli valligiani. Sacrificò il suo patrimonio personale e visse la sua vecchiaia in povertà usufruendo di una misera pensione assegnatagli nel 1820 con decreto di Napoleone successivamente confermatagli da Vittorio Emanuele I.

 In altre regioni, anche per merito d'altri entusiasti agrari si diffondeva la produzione della patata e nell’arco di pochi anni divenne il cibo più diffuso in tutto l’areale alpino.

La diffusione della patata ha modificato le abitudini alimentari di tutta la popolazione del “Vecchio Continente” e ha contribuito all’incremento demografico nei paesi di montagna e nelle città di pianura.

E’ il caso di ricordare che in Irlanda dove il tubero veniva coltivato in larga scala, questo prodotto ha contribuito a rivoluzionare il corso della sua storia. Tra il 1845 e 1848 le piantagioni di patate furono infestate dalla Phytophthora, quasi la metà della popolazione dell’isola fu costretta a emigrare in America e per questo oggi il nord nel “Nuovo Continente” ha una forte popolazione di origine irlandese. Questa epidemia causò anche centinaia di migliaia di morti dovuti alla scarsa alimentazione.

Bibliografia

-Renzo Pellati - Storia dell’alimentazione 2003 (La Stampa Tutto scienze 2003)

-Mario Bongioanni - Giovanni Vincenzo Virginio (Rivista Marittime 2002)

-Iolanda Proietti – La patata, dalle americhe alla mensa degli europei (Rivista Esperienze 2001)

-Elma Schema e Adriana Ravera – Patate di Entracque 1998

-Wolftraud De Concini - An da patate no l’è an da fam (Rivista l’ALPE n° 9 2004.)

 -A. Capatti. e M. Montanari – La cucina italiana Storia di una cultura 2002